sabato 6 agosto 2016

COME E PERCHÉ LA MUSICA CI FA VIVERE MEGLIO



Di Walter La Gatta
L’ascolto della musica può essere una risorsa per la manipolazione attiva degli stati della mente, in ​​quanto permette di raggiungere una visione più ottimista della realtà, evoca sentimenti empatici e di coesione sociale, con senso di affiliazione, e suscita sentimenti di ricompensa.



Per queste ragioni dunque la musica potrebbe essere uno strumento per aiutare le persone ad essere più sicure di sé e rilassate nei contesti sociali, mantenendo un alto livello di autostima. Segue una rassegna di studi condotti sulla musica e sulla sua funzione psicologica e sociale.
L’evidenza storica ed empirica mostra che la musica ha una profonda capacità di evocare sensazioni positive e piacevoli in chi l’ascolta. In alcuni casi può trattarsi di un’esperienza intensa, capace di cambiare la vita (Gabrielsson, 2011) ma può anche produrre piccoli cambiamenti del tono dell’umore nella vita quotidiana (Hargreaves e North, 1999). Molte ricerche hanno sottolineato il ruolo della musica nello sviluppo personale (Larson, 1995; Ruud, 1997; DeNora, 1999; North e Hargreaves, 1999), nell’identità sociale (Tarrant et al, 2001; Shepherd e Sigg, 2015), nella personalità (Rentfrow e Gosling, 2003), e nella percezione interpersonale (Rentfrow e Gosling, 2006).
La musica riesce a trasmettere molta energia: secondo Maksimainen e Saarikallio (2015), la sensazione di empowerment che essa trasmette è tra le emozioni più intensamente esperite nella vita di tutti i giorni. L’empowerment può avvenire sia a livello collettivo sia a livello individuale e può coinvolgere aspetti diversi, come l’autostima, la resilienza, la crescita e il cambiamento(Travis, 2012), ma anche la responsabilizzazione a livello individuale. La capacità della musica di evocare emozioni è stata un argomento di ricerca di notevole interesse negli ultimi due decenni (Juslin e Sloboda 2010), ma il modo in cui l’ascolto della musica aiuti davvero le persone a mantenere delle auto-valutazioni positive e a migliorare la propria autostima ha ricevuto poca attenzione.
Brown e Mankowski (1993) hanno mostrato che i cambiamenti di umore indotti dalla musica influenzano le auto-valutazioni. Gli autori hanno scoperto che le persone che avevano ascoltato musica allegra si valutavano più positivamente rispetto alle persone che avevano ascoltato musica triste. È interessante notare che i cambiamenti nell’autovalutazione sono stati più pronunciati negli ascoltatori che avevano riferito di avere una bassa autostima. In particolare, dopo l’ascolto della musica triste, gli ascoltatori con bassa autostima si valutavano più negativamente degli ascoltatori con alta autostima. Recenti evidenze empiriche confermano l’idea che l’ascolto della musica possa influire momentaneamente sull’autostima (Elvers et al., 2015). Questi autori hanno scoperto che dopo l’ascolto di canzoni pop che sono state percepite come motivanti ed espressive di pensieri positivi, le persone hanno riportato livelli significativamente più elevati di autostima.
Da un punto di vista storico, La Repubblica di Platone ci parla di come la musica possa essere capace di dotare gli individui di atteggiamenti e caratteristiche di cui hanno bisogno per far fronte alle sfide della vita quotidiana. Gli etnomusicologi hanno documentato i vari modi in cui la musica e la danza ritualizzate servano per visualizzare il prestigio, la forza e il potere (Dissanayake, 2006). Si pensi al grido di battaglia Maori “Haka” (Rugby World, 2015) che viene regolarmente eseguito dalle squadre sportive della Nuova Zelanda prima delle partite internazionali: esso fornisce un vivace esempio di come canto e danza possano essere utilizzati sia come dimostrazione di potere e di forza fisica per gli avversari, sia come mezzo per mettere i giocatori stessi nella giusta mentalità per vincere.
Per quanto riguarda la musica dei tempi moderna, una riflessione va fatta sul fenomeno del “selfie-pop”, una nuova tendenza nella musica popolare. Secondo il giornalista Romano (2013) le attuali pop star, come Rihanna, Lady Gaga, Katy Parry, Ke$ha, Pink, e Black Eyed Peas, sono sempre più portate a presentarsi nelle loro canzoni come persone forti, potenti, sicure di sé, e dedite a soddisfare il proprio Ego. Le loro canzoni non solo implicano un’auto-rappresentazione estremamente positiva, ma sono anche canzoni costruite sul cantante in relazione all’ascoltatore: il messaggio che trasmettono è del tipo “noi insieme supereremo ogni ostacolo che incontreremo perché siamo forti e belli e unici, abbiamo il potere e  una grande stima di noi stessi”. Questa osservazione mostra chiaramente che il tema del potenziamento di sé ha raggiunto il cuore della cultura musicale popolare di oggi. Ma per quanto riguarda il notevole successo di questo tipo di canzoni, sorge la domanda: ascoltarle produce davvero un aumento dell’autostima e, se lo fa, quali meccanismi psicologici potrebbero spiegare questi fenomeni?
Alcune ricerche hanno evidenziato che l’ascolto della musica possa far sentire le persone più energiche, e implicitamente attivare il concetto di potere (Hsu et al., 2014). La modulazione intenzionale dei suoni può anche ridurre lo sforzo percepito durante l’esecuzione fisica intensa, il che suggerisce che le attività musicali esercitino un effetto positivo anche sull’attività fisica (Fritz et al 2013). L’uso della musica da parte degli atleti prima di importanti gare dimostra chiaramente il potenziale della musica per dare energia. Gli atleti devono essere al massimo della loro fiducia in se stessi, e l’uso corretto della musica potrebbe contribuire notevolmente a tal fine. Infatti, gli psicologi dello sport hanno già discusso la potenziale utilità della musica nel contesto del miglioramento delle prestazioni (Terry e Karageorghis, 2011).
Ma la musica aiuta anche ad alleviare l’ansia, la quale, a sua volta, ha dimostrato di essere correlata negativamente con l’autostima (Brockner, 1984). Una recente meta-analisi per quanto riguarda l’uso della musica per il recupero post-operatorio dopo un intervento chirurgico dimostra che l’ascolto di musica può ridurre il dolore e l’ansia nel periodo post-operatorio  e aumentare la soddisfazione del paziente (Hole et al., 2015). Gli autori suggeriscono che la musica sia un intervento percepito come sicuro, non invasivo e poco costoso, che può avere effetti positivi nel recupero post-operatorio. La capacità della musica di ridurre l’ansia e promuovere l’ottimismo è stata collegata positivamente anche alla nostalgia (Routledge et al., 2008). Cheung et al. (2013) hanno dimostrato che la nostalgia indotta in alcuni soggetti attraverso l’uso di determinate canzoni, promuove le relazioni sociali e aumenta l’autostima, che a sua volta aumenta l’ottimismo.
Secondo un quadro proposto da Crocker e Wolfe (2001) ogni persona ha un livello individuale stabile di autostima (di tratto) che può essere considerato come un punto di riferimento attorno al quale i diversi livelli di autostima di stato (cioè legati al momento che si vive) fluttuano in risposta alle circostanze esterne e ad eventi momentanei. Vi sono persone che si valutano prendendo in considerazione solo gli aspetti positivi del sé e non quelli negativi, che si illudono di avere il potere di incidere sulla realtà esterna e credono molto nelle proprie capacità: avere queste “illusioni positive” non è considerato un comportamento disadattivo, ma anzi, esso è spesso di aiuto nel soddisfare i bisogni psicologici di tutti i giorni (Taylor e Brown, 1988) e può avere una funzione importante anche per quanto riguarda la salute mentale (Taylor e Brown, 1988; Taylor et al., 2003). 
L’autostima gioca un ruolo importante nel benessere e nella felicità. E’ stato riscontrato che un’alta autostima è legata a minore ansia (Brockner, 1984), minori sintomi depressivi (Tennen e Herzberger, 1987), minore perdita della speranza (Crocker et al., 1994), e maggiore soddisfazione nella vita (Myers e Diener , 1995) rispetto a soggetti che hanno scarsa autostima.
Un modo molto intuitivo per pensare all’efficacia della musica come mezzo di auto-miglioramento è il seguente: quando si ascolta una canzone in cui il cantante esprime un auto-giudizio positivo, l’ascoltatore si immedesima nel cantante, e attraverso questo processo adotta e proietta su di sé determinati concetti. Krueger (2014) ha dettagliatamente messo in evidenza come l’ascolto della musica possa essere inteso come un processo cognitivo distribuito, un’estensione della mente, grazie alla musica.
L’ascolto della musica può essere concettualizzato come una forma speciale di processo sociale comunicativo (Cross, 2011), grazie alle capacità empatiche, che sono un meccanismo capace di indurre emozioni  (Scherer e Zentner, 2001; Koelsch, 2013; Clarke, 2014). Vischer (1887) ha introdotto la nozione di Einfühlung ( “sentirsi in”) per spiegare come colui che percepisce un oggetto estetico acceda alle profondità psicologiche dell’ opera d’arte e alla sua vita interiore. Il concetto di empatia, che è legato alla nozione tedesca di Einfühlung, è stato definito come “un accesso esperienziale alla soggettività dell’altro” (Colombetti, 2014). Questo stato empatico è paragonabile a quando ci troviamo a rievocare i ricordi del passato, anche quelli non vissuti direttamente, ma che comunque sono capaci di determinare in noi uno stato emotivo. 

Alcuni autori (Cone, 1982) ritengono che la persona non possa fare a meno di sentirsi coinvolta quando la musica viene percepita come forma espressiva, come il prodotto di un essere umano che voleva esprimere qualcosa (Cochrane, 2009). Tuttavia, il grado in cui un brano musicale possa essere percepito come espressione di una soggettività musicale varia molto tra le culture e gli stili musicali. Ad esempio nella musica pop, dato il ruolo iconico delle pop star, si può chiaramente vedere come i cantanti diventino oggetti di identificazione empatica.
Le reazioni empatiche  alla musica o al musicista non implicano necessariamente l’identificazione con l’altro o una sorta di miscela di sé e dell’altro. Tuttavia, in molti casi si vive una sorta di fusione fra chi fa musica e l’ascoltatore (Clarke, 2014). Ad esempio, in uno studio qualitativo viene descritto come uno dei partecipanti ascolti una canzone ogni giorno, perché questo lo aiuta a trovare un senso di identità e a capire meglio se stesso. Questo soggetto percepisce le canzoni della sua band preferita come “molto originali, più profonde e più oneste di quelle che ascoltava precedentemente, perché dicono cose che sento e che non riuscirei ad esprimere a chiunque altro” (Greasley e Lamont, 2011). In questo intenso episodio di ascolto, la musica viene percepita come forma di auto-espressione e di auto-conferma. Un altro esempio può essere trovato in un altro studio, nel quale una giovane donna descrive la sua esperienza nell’assistere ad una performance dal vivo di chitarra flamenco nel modo seguente: “Sembrava … E’ pienamente in accordo con me, con il mio io interiore. Il flamenco esprime quello che sento dentro, la mia anima, i miei sentimenti “(Gabrielsson, 2011).
Quando la musica viene percepita come forma di auto-espressione e di auto-conferma, gli ascoltatori sperimentano le soggettività musicali come parte del proprio sé. Questi processi empatici, questo perdersi nella musica e identificarsi con il cantante sono una caratteristica unica della musica, che oltre tutto avviene in un “ambiente sicuro”, nel senso che l’ascoltatore sa bene che le sensazioni di esaltazione percepite non possono causargli danni (Schubert, 2009).
Secondo Cochrane (2009), una modalità di ascolto empatico può essere spiegata dalla teoria della simulazione, una teoria su come comprendiamo gli altri, che ha suscitato un notevole interesse sia nei filosofi sia nei neuroscienziati (Gallese e Goldman, 1998; Goldman, 2006; Grafton, 2009). La teoria della simulazione presuppone che otteniamo informazioni su cosa pensano gli altri mettendoci nei loro “panni mentali”: in tal modo, la simulazione di ciò che gli altri sentono o pensano ci coinvolge e ci proietta nella posizione dell’altro (Zahavi, 2008).
La musica può fornire una risorsa ambientale di facile accessibilità, che permette un miglioramento dell’autostima grazie a questi processi empatici e all’identificazione con personalità musicali positive (persone sicure di sé, forti, che possono fornire dei “copioni mentali” cui ispirarsi) (Colombetti, 2014).  La musica fornisce insomma soggettività virtuali che possono essere esplorate, ed eventualmente, in una certa misura, adottate. Poiché è stato dimostrato che le persone in possesso di un immagine di sé positiva in mente riportano livelli più elevati di autostima rispetto a coloro che hanno immagini di sé negative (Hulme et al., 2012), un processo empatico in cui si percepisce la personalità musicale in modo positivo permette, in una certa misura, di trasferire questi aspetti positivi sull’ascoltatore consentendo, presumibilmente, un effetto di auto-miglioramento dovuto all’esperienza musicale.
Studiosi di diversa provenienza accademica hanno sottolineato che la funzione sociale della musica è stata fondamentale per lo sviluppo degli esseri umani. Etnologi della musica (Merriam, 1964) antropologi (Suppan 1984, 1986) e psicologi sociali (Loersch e Arbuckle, 2013) hanno sostenuto che la musica svolge varie funzioni sociali in molte aree del mondo e che la reattività musicale (vale a dire, la tendenza ad essere influenzati dalla musica) è spesso legata a motivazioni sociali. Alcuni tipi di musica possono creare forti identità sociali (Tarrant et al, 2001;. Tekman e Hortacsu, 2002; Lonsdale e North, 2009) essere strumento di coesione sociale (Boer et al, 2011.) e promuovere comportamenti prosociali (Greitemeyer, 2009; Kirschner e Tomasello, 2010).
Un altro aspetto che entra in gioco nei processi di auto-valorizzazione grazie alla musica è il piacere. Il presupposto fondamentale che la musica possa evocare piacere, sia nell’esecutore sia nell’ascoltatore, è documentato fin dall’antichità, e se ne trova menzione sia in Platone, sia in Aristotele. Il piacere veniva considerato la componente chiave nella formazione La capacità di evocare piacere è la funzione fondamentale dell’ascolto della musica (Schubert, 2009). Oggi la maggior parte delle persone vivono la musica come una delle fonti più potenti di piacere (Dubé e Le Bel, 2003).  Anche le neuroscienze si sono interessate a questo, focalizzandosi nell’esperienza massima del piacere, rappresentata dai brividi (Panksepp, 1995).
Blood e Zatorre (2001) hanno scoperto che vi è una diminuita attività nelle regioni cerebrali che sono associate con l’ansia quando i soggetti che ascoltano musica la ritengono intensamente piacevole e che le esperienze più significative con la musica attivano regioni cerebrali che sono associate con la ricompensa.
Poiché la ricompensa è di solito accompagnata da stati emotivi edonistici e sensazioni di aver ottenuto l’oggetto gratificante desiderato (Chanda e Levitin, 2013), ciò suggerisce che il piacere porti effetti positivi, anche sulla stima di sé. Ma il piacere non è sempre legato a effetti positivi. Si pensi a quanti ascoltano musica triste ritenendola piacevole, anche se essa evoca in loro emozioni negative e sentimenti di depressione (Garrido e Schubert, 2015).
Si può concludere che il piacere nell’ascolto della musica non è vantaggioso di per sé, ma potrebbe svolgere un ruolo importante nella intensificazione e nell’induzione di sentimenti positivi. Il piacere dell’esperienza musicale può dunque portare verso l’auto-miglioramento, ma solo quando è accompagnato da effetti positivi o sentimenti autoreferenziali positivi. L’orgoglio, ad esempio, è positivamente correlato all’autostima (Pelham e Swann, 1989; Brown e Marshall, 2001).
Quando si tratta di stabilire quali stili musicali o pezzi possano essere utili come forma di potenziamento del sé, la risposta diventa difficile.  Alcuni pezzi musicali possono produrre un auto-miglioramento grazie alla sensazione di connessione sociale, ma è il modo in cui ciascuno prova piacere ascoltando un brano musicale che può avere i maggiori effetti. Poiché vi è una grande variabilità individuale nel gusto musicale, è difficile definire quale musica possa produrre risultati migliori.
Concludendo, si è visto come la musica riduce efficacemente l’ansia, favorisce il legame sociale, può essere percepita come un amico empatico. Essa gioca un ruolo importante nelle esperienze affettive delle persone nella loro vita quotidiana e può essere una risorsa per l’auto-miglioramento , una sorta di  “pillola” ma non si possono fare generalizzazioni a causa dei gusti musicali diversi. Questo è il motivo per cui nella maggior parte dei casi la musica che esercita i maggiori effetti positivi sugli ascoltatori deve essere scelta dagli ascoltatori stessi (Chanda e Levitin, 2013).
Dato che la musica migliora l’autostima e questo è associato con un minor numero di sintomi depressivi (Tennen e Herzberger, 1987), l’ascolto della musica può giovare nel trattamento della depressione. La musicoterapia in effetti aiuta nel trattamento della depressione, anche se il meccanismo esatto rimane incerto (Maratos et al., 2011).
Oggi la musica è onnipresente, grazie allo sviluppo della tecnologia, che permette servizi di streaming e uso di dispositivi musicali portatili, che consentono anche un uso molto personalizzato della musica. Questo è ciò che più di ogni altra cosa funziona, perché la musica deve suscitare empatia, appartenenza, condivisione, come accade ad esempio per la musica rap, che ha una grande capacità di parlare delle realtà presenti nelle comunità urbane in cui ha origine, trasmettendo più di ogni altra cosa il senso di una identità individuale e collettiva (Travis, 2012).
Dr. Walter La Gatta
Fonte:
Elvers P. Songs for the Ego: Theorizing Musical Self-Enhancement. Frontiers in Psychology. 2016;7:2. doi:10.3389/fpsyg.2016.00002.
Immagine:
Wikimedia

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